anno
2020
durata
90′
regia
Daria Deflorian e Antonio Tagliarini
con
Francesco Alberici
testo
Édouard Louis
adattamento italiano
Francesco Alberici, Daria Deflorian, Antonio Tagliarini
aiuto regia
Chiara Boitani
collaborazione artistica
Andrea Pizzalis
suono
Emanuele Pontecorvo
luci
Giulia Pastore
costumi
Metella Raboni
produzione
A.D., Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Emilia Romagna Teatro Fondazione, TPE-Teatro Piemonte Europa / Festival delle Colline Torinesi, FOG Triennale Milano Performing Arts
PREMIO UBU 2021 Miglior Performer Under 35
Il ’68 i padri li voleva uccidere – così si diceva. Quarant’anni dopo, nelle pagine di un testo dettato, sono parole dello stesso Édouard Louis, non dalle esigenze della letteratura, ma da quelle della necessità e dell’urgenza – da quelle del fuoco – uno scrittore di 26 anni si mette in caccia degli assassini del padre e li scopre tra i dominanti, ma soprattutto rimette all’ordine del giorno della scrittura le vite di cui nessuno vuole più sentir parlare, le nude vite di coloro a cui il potere toglie qualunque protezione. Il miracolo è che questo atto d’accusa non rende meno toccante la kafkiana “lettera al padre” in cui il figlio dà ripetutamente del tu all’uomo che per anni gli ha negato ogni confronto, eludendo in tal modo il confronto con sé stesso. Cercandolo e trovandolo dove lui non sa nemmeno di essere, nelle profondità di una vocazione subito espropriata dalle dure leggi di una condizione sociale che da sempre è anche un’ideologia, un aspetto della dominazione. Che sia la parola rivoluzione – detta dal padre – l’ultima parola del testo può far riflettere: una fortissima inquietudine corrode il cuore della Francia profonda (e non solo).
Nello spazio «grande e vuoto» del Teatro delle Passioni di Modena, dove lo spettacolo ha debuttato lo scorso 21 febbraio in prima italiana all’interno di Vie Festival, Francesco Alberici è un’ombra scura che si muove tra sacchi della spazzatura, già in scena quando il pubblico entra in sala. Quando inizia a parlare si rivolge al grande assente, il padre («Tu appartieni a quella categoria di uomini a cui la politica riserva una morte precoce»), si fa narratore della storia («Il figlio cerca di rivolgersi a suo padre») e, in alcuni momenti, nei gesti diventa il padre (quando prende a pugni il muro o quando si accascia tra i sacchi della spazzatura e rotola a terra, rifiuto tra i rifiuti, o quando indossa berretto, sciarpa e piumino trasformandosi nello spazzino «per 700 euro al mese», lavoro fatto dal padre dopo l’incidente in fabbrica).
Marì Alberione, Duels
In una performance difficile, Alberici è riuscito a farsi ombra, facendo suo il testo di Louis, astraendo la figura individuale e trasformando la sua parabola in una storia collettiva e in un grido di ribellione sociale contro una classe politica, sia di destra sia di sinistra, che ha abbandonato ormai da tempo i principi di uguaglianza e giustizia con cui si è riempita la bocca e che ha spacciato per democrazia.
Giulia Alonzo, Exibart
…l’interpretazione è quella di Francesco Alberici, unico protagonista, matura, sincera, mai banalmente emotiva (e può benissimo fare a meno dell’amplificazione del microfono): vestito in jeans e una felpa nera, Alberici indaga la rabbia e l’amore del personaggio, ne scova le trappole emotive e gli slancio affettivi, è capace di trovare un piano di verità, e poi di umanità e dolore in quel fitto ragionare da figlio omosessuale che ripercorre dall’infanzia il rapporto col padre omofobo e incazzato.
Anna Bandettini, La Repubblica
Deflorian e Tagliarini riescono a raggiungere il punto di fusione drammaturgico in un montaggio che tiene lo spettatore aggrappato al filo dell’attenzione. C’è un crescendo scevro di enfasi e retorica nel quale le vicende biografiche più difficili si alternano alla riflessione socio-politica, fino all’accusa finale: vero e proprio atto di guerra, una mitragliata di nomi che non può non far pensare a quel Io so di Pasolini, che qui però si concretizza nei nomi dei ministri e dei presidenti della Repubblica francesi degli ultimi decenni.
Andrea Pocosgnich, Teatro e Critica
Una riscrittura che non cambia la scrittura. Se, ad esempio, sul finale del libro padre e figlio convengono intorno alla parola rivoluzione – «ci vorrebbe proprio una bella rivoluzione» afferma il padre plaudendo all’impegno politico del figlio –, giungendo ad una conclusione perentoria e programmatica, la scena sfuma più dolcemente. Una radio spenta continua a trasmettere il suo segnale, Alberici l’afferra, spaesato. Alza lo sguardo verso il pubblico. È una musica dolce, ma non ci tranquillizza. Come sempre nelle pause, nell’indecisione, nella giusta distanza fra un corpo e la platea, Deflorian\Tagliarini immettono una voragine. Misurano, e ci fanno misurare come vertigine, il nostro dolore.
Andrea Zangari, PAC
È la prima volta che Daria Deflorian e Antonio Tagliarini affrontano un testo non scritto da loro e per di più affidandolo a un altro attore, ma la coerenza del percorso che stanno portando avanti è lampante, non solo perché Alberici da quattro anni collabora con loro come autore, regista e attore, ma soprattutto per le questioni che ritornano e si affinano e si arricchiscono un’opera dopo l’altra: il rapporto tra figura e sfondo, la dialettica tra spirito e politica, la periferia come punto di vista privilegiato, la necessità di uscire dall’esercizio della riscrittura attualizzante e dall’attivismo ideologico che opprime le scene e la creatività, per trovare le parole, le forme, le immagini, le pause giuste per interpretare e raccontare come stiamo, cos’è che nonostante tutti i nostri sforzi ci scaraventa in uno stato di dolore inconsistente e subdolo, in un senso di impotenza e di perpetua apocalisse all’orizzonte.
Rossella Menna, Doppiozero
Bellissimo e toccante. Si poteva alludere con maggiore delicatezza, maggior pudore e, insieme, maggiore forza alla separatezza degli emarginati dai dominanti e, per l’appunto, al sogno della rivoluzione che, in quella separatezza, a poco a poco viene destato e alimentato dalla vita che scorre nell’esterno negato dal potere economico e politico agli sfruttati? Infine, la prova maiuscola fornita da Francesco Alberici: fredda come un referto anatomico e bruciante come una fiamma. Costituisce la sigla migliore per uno spettacolo che, una volta terminato, non ti lascia. Perché ti consegna dei problemi che non puoi fare a meno di affrontare.
Enrico Fiore, Controscena
Per la prima volta, infatti, i due artisti hanno presentato una creazione di cui firmano soltanto la regia, mentre l’interpretazione è affidata a un giovane attore, il bravissimo Francesco Alberici. E per la prima volta hanno affrontato un testo scritto da altri, dal ventisettenne Edouard Louis, il “caso” letterario francese del momento.
Renato Palazzi, Il sole 24 ore
Lunghe pause sospendono il racconto per lasciare spazio a una dimensione del dolore più sottile muta e impalpabile, ma che affonda con forza tanto nel corpo dell’attore quanto in quello del pubblico, chiamato ad accogliere questa fragile ma tagliente confessione.
Gazzetta di Modena
2026
19-22 Febbraio, Teatro Basilica, Roma (IT)
11-12 Aprile, Piccolo Teatro, Milano (IT)
2023
28 Giugno, Teatro Sociale, Gualtieri (IT)
2022
30 Marzo, Teatro Ca’ Foscari, Venezia (IT)
2021
15-17 Maggio, Teatro Astra, Torino (IT)
21-23 Maggio, Triennale, Milano (IT)
17-20 Giugno, Teatro Arena del Sole, Bologna (IT)
26 Ottobre, Città delle 100 Scale, Potenza (IT)
2-7 Novembre, Teatro India Roma (IT)
2020
22-23 febbraio, Festival Vie, Modena (IT)